Abbattere le barriere culturali fa bene al cuoreGli scambi internazionali di formazione professionale non permettono solo di sviluppare nuove conoscenze e competenze, ma aiutano anche a superare pregiudizi a volte inconsapevoli.
Una storia a lieto fineQualche tempo fa (siamo in era pre-COVID) , una studentessa 15enne cinese residente da anni in Italia accusò una sindrome simil-influenzale con febbre. Dopo che ebbe assunto un preparato tradizionale cinese a base di erbe, la febbre passò, ma subentrò un’estrema stanchezza, accompagnata da nausea e vomito ripetuto.
La ragazza venne quindi accompagnata in Pronto Soccorso con un dolore allo stomaco (nella parte alta dell’addome), indici di funzione del fegato molto alterati, la pressione un po’ bassa ma non tanto per la sua età, e il ritmo cardiaco un po’ irregolare, attribuito in quel momento allo squilibrio dovuto agli esami del sangue. Oltre agli indici di funzione epatica, questi ultimi indicavano altre anomalie: una funzione renale anormale, il livello di alcuni elettroliti e l’equilibrio acido-base fuori norma...).
Il quadro fu interpretato come “epatite tossica fulminante conseguente all’assunzione di medicamento tradizionale cinese”, per cui l’ospedale del Pronto Soccorso si preoccupò di prendere immediatamente contatto con un altro centro dotato di programma di trapianto di fegato pediatrico per valutare la candidatura e il trapianto di fegato in urgenza.
Questa seconda struttura riconobbe un grave quadro di aritmia cardiaca e shock e, avendo rilevato una disfunzione cardiaca all’ecocardio e la dismissione di marcatori di necrosi cardiaca (come si osserva, ad esempio, quando c’è un infarto importante), contattò a sua volta la rianimazione del Dipartimento Cardiotoracovascolare di Niguarda, dove la ragazza venne trasferita in condizioni altamente critiche: si sospettava una miocardite acuta e si dovette ricorrere alla ventilazione, al supporto meccanico temporaneo al circolo e alla dialisi.
La biopsia del cuore confermò la miocardite severa: il tessuto muscolare del cuore era invaso da linfociti, cioè da cellule infiammatorie, e si faticava a vedere cellule cardiache sane.
Con il supporto meccanico temporaneo al circolo e dopo un trattamento con cortisone, la funzione cardiaca migliorò rapidamente in pochi giorni, e così pure la funzione del fegato. Il supporto meccanico venne sospeso, la dialisi proseguì per 2-3 settimane e poi anche il rene riuscì a recuperare: la paziente poté finalmente essere dimessa senza la necessità di una terapia cronica.
Una domanda da farsiTutto è bene – si dice – quel che finisce bene. Ma a posteriori può valere la pena di porsi una domanda. Se, invece di una ragazza orientale che aveva assunto un “medicamento tradizionale cinese”, si fosse trattato di un’adolescente italiana che aveva bevuto una tisana o ingoiato pillole omeopatiche, il “percorso” sarebbe stato lo stesso o la diagnosi di miocardite e le relative cure sarebbero arrivate prima?
Nella fattispecie, il quesito è destinato a restare senza risposta, ma è lecito pensare che le barriere culturali sono sempre in agguato e che, magari proprio perché spesso non ne siamo consapevoli e non sempre è facile identificarle, rischiano di non far bene, oltre che ai rapporti tra persone che provengono da contesti differenti, anche alla salute.
Ragion per cui, nell’ambito della sua missione di sostegno al Dipartimento Cardiotoracovascolare di Niguarda, la Fondazione A. De Gasperis è attenta anche allo scambio professionale interculturale e rende possibili esperienze di formazione internazionali per il personale medico del dipartimento: niente di meglio che lavorare insieme per far crollare le barriere culturali e per condividere informazioni, conoscenze e competenze che si sono sviluppate in ambiti diversi. A tutto vantaggio dei pazienti.
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