Checkup e terapie: Le terapie mediche e chirurgiche
Il processo riparativo che tende a riassorbire il tessuto necrotico, diventato inutile e improduttivo, comincia fin da subito.
Il tessuto danneggiato è sostituito da un tessuto cicatriziale, fibroso, non molto differente da quello che siamo abituati a vedere come riparazione delle più banali e frequenti ferite cutanee.
La cicatrice necessita di alcuni giorni per completarsi e può essere monitorata nel suo instaurarsi con le stesse metodiche usate per fare le diagnosi di IMA.
È un tessuto robusto, una riparazione molto efficiente e sicura ma, a differenza del tessuto che ha sostituito, non è un tessuto muscolare e quindi non è in grado di contrarsi, e non può pertanto efficacemente fornire il proprio contributo alla funzione cardiaca globale.
Il cuore, quindi, ad ogni episodio infartuale, perde un poco della propria potenza e della propria capacità contrattile e col tempo può divenire incapace di soddisfare le richieste di sangue ossigenato da parte degli organi periferici (scompenso cardiaco).
Il fine di ogni terapia dell'IMA deve essere rivolto a limitare i danni derivanti dall'occlusione coronarica acuta, ovvero, per quanto possibile, dev'essere rivolto a riaprire la coronaria occlusa e a far riprendere al più presto un sufficiente flusso di sangue ossigenato.
È una questione di tempo: quanto prima si riesce a ottenere una ripresa efficace di flusso ematico nella coronaria interessata, tanto maggiore sarà la quota di muscolo miocardico recuperata a una valida contrazione, salvata dalla necrosi irreversibile, e tanto minori, soprattutto a distanza, saranno le conseguenze della perdita netta di tessuto contrattile "nobile" ed "emodinamicamente" produttivo.
Risulta così comprensibile perché gran parte del destino di un infarto si sviluppi e si definisca nelle prime ore di ricovero, e comunque perché, in quel breve lasso di tempo, sia necessario prendere i provvedimenti più efficaci e capaci di limitare i danni necrotici.
Oggi abbiamo a disposizione diverse armi decisamente utili a questo fine.
15-20 anni fa, il cardiologo poteva realmente solo assistere quasi impotente alla strage di cellule miocardiche che si compiva sotto i suoi occhi, con l'unica possibilità di eseguire una terapia di sostegno e supporto per la funzione miocardica, unicamente volta alla prevenzione e al controllo delle complicanze, quando possibile.
La cardiologia moderna punta a intervenire il prima possibile per ottenere una efficace riapertura della coronaria ostruita e tenta questa difficile riparazione con tre metodi:
Riossigenazione del sangue: riportare sangue ossigenato alla zona di miocardio colpita da infarto.
Si possono utilizzare a questo fine specifici farmaci particolarmente attivi e potenti nello sciogliere i coaguli di sangue che si sono formati nelle coronarie e che, sommati alla placca preesistente, l'hanno totalmente ostruita (trombolisi).
Rimozione dell'ostruzione: In alternativa, si può provvedere meccanicamente alla rimozione dell'ostruzione entrando nella coronaria con particolari cateteri che "schiacciano" contro le pareti la placca e il trombo sovrapposto, in genere sufficientemente morbidi e friabili da lasciarsi deformare e appiattire contro la parete vascolare da un palloncino di pochi millimetri di diametro, gonfiato proprio in corrispondenza della placca stessa (angioplastica); si può perfezionare successivamente il posizionamento del meccanismo con un'intelaiatura metallica particolare che ottimizzi la riapertura meccanica e funga da sostegno, impedendo la riformazione della stenosi recidiva nella stessa collocazione (Stent), né più né meno di quanto farebbe un bravo ingegnere minerario che, dopo aver perforato una galleria in terreno franoso e cedevole, ne puntella le pareti per evitare ulteriori crolli;
Ponte vascolare: Infine, possiamo"scavalcare" l'ostacolo posizionando chirurgicamente un "ponte" vascolare, costituito da segmenti di vena prelevati dalla gamba dello stesso paziente o utilizzando adeguate arterie del torace, che permette di evitare l'ostruzione presente nella coronaria e rifornisce la periferia attaccandosi più a valle della stessa (By-pass Aorto-coronarico).
Tutti e tre i metodi descritti, universalmente impiegati nella cardiologia moderna, pur con differenti indicazioni, basano il loro successo nel trattamento dell'IMA su di una prerogativa comune: si dimostrano tanto più efficaci quanto più sono precoci, sono cioè tanto più capaci di limitare i danni permanenti quanto prima vengono messi in atto.
Non bisogna perdere tempo! L'entità del danno subito, e quindi la qualità di vita futura, dipendono in larga misura dalla riuscita di queste terapie in tempo utile.
Il tessuto danneggiato è sostituito da un tessuto cicatriziale, fibroso, non molto differente da quello che siamo abituati a vedere come riparazione delle più banali e frequenti ferite cutanee.
La cicatrice necessita di alcuni giorni per completarsi e può essere monitorata nel suo instaurarsi con le stesse metodiche usate per fare le diagnosi di IMA.
È un tessuto robusto, una riparazione molto efficiente e sicura ma, a differenza del tessuto che ha sostituito, non è un tessuto muscolare e quindi non è in grado di contrarsi, e non può pertanto efficacemente fornire il proprio contributo alla funzione cardiaca globale.
Il cuore, quindi, ad ogni episodio infartuale, perde un poco della propria potenza e della propria capacità contrattile e col tempo può divenire incapace di soddisfare le richieste di sangue ossigenato da parte degli organi periferici (scompenso cardiaco).
Il fine di ogni terapia dell'IMA deve essere rivolto a limitare i danni derivanti dall'occlusione coronarica acuta, ovvero, per quanto possibile, dev'essere rivolto a riaprire la coronaria occlusa e a far riprendere al più presto un sufficiente flusso di sangue ossigenato.
È una questione di tempo: quanto prima si riesce a ottenere una ripresa efficace di flusso ematico nella coronaria interessata, tanto maggiore sarà la quota di muscolo miocardico recuperata a una valida contrazione, salvata dalla necrosi irreversibile, e tanto minori, soprattutto a distanza, saranno le conseguenze della perdita netta di tessuto contrattile "nobile" ed "emodinamicamente" produttivo.
Risulta così comprensibile perché gran parte del destino di un infarto si sviluppi e si definisca nelle prime ore di ricovero, e comunque perché, in quel breve lasso di tempo, sia necessario prendere i provvedimenti più efficaci e capaci di limitare i danni necrotici.
Oggi abbiamo a disposizione diverse armi decisamente utili a questo fine.
15-20 anni fa, il cardiologo poteva realmente solo assistere quasi impotente alla strage di cellule miocardiche che si compiva sotto i suoi occhi, con l'unica possibilità di eseguire una terapia di sostegno e supporto per la funzione miocardica, unicamente volta alla prevenzione e al controllo delle complicanze, quando possibile.
La cardiologia moderna punta a intervenire il prima possibile per ottenere una efficace riapertura della coronaria ostruita e tenta questa difficile riparazione con tre metodi:
Si possono utilizzare a questo fine specifici farmaci particolarmente attivi e potenti nello sciogliere i coaguli di sangue che si sono formati nelle coronarie e che, sommati alla placca preesistente, l'hanno totalmente ostruita (trombolisi).
Tutti e tre i metodi descritti, universalmente impiegati nella cardiologia moderna, pur con differenti indicazioni, basano il loro successo nel trattamento dell'IMA su di una prerogativa comune: si dimostrano tanto più efficaci quanto più sono precoci, sono cioè tanto più capaci di limitare i danni permanenti quanto prima vengono messi in atto.
Non bisogna perdere tempo! L'entità del danno subito, e quindi la qualità di vita futura, dipendono in larga misura dalla riuscita di queste terapie in tempo utile.