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Una piccola grande rivoluzione nel mondo della cardiostimolazione: I pacemaker senza fili

Evoluzione tecnologica pacemaker

 

I primi pacemaker impiantati oltre 50 anni fa pesavano circa 100 grammi e la durata della batteria era di circa 6 mesi. In questi anni sono stati fatti notevoli progressi tecnologici che hanno portato ad un miglioramento delle performance dei dispositivi: le dimensioni del generatore si sono notevolmente ridotte (attualmente in media 20-30 grammi), mentre la durata della batteria è sempre maggiore (attualmente fino a 10 anni), sono migliorate le performance degli elettrocateteri e sono stati sviluppati sistemi di stimolazione sempre più sofisticati, che rispettano la fisiologia del cuore e vanno incontro alle differenti esigenze dei pazienti a seconda del disturbo del ritmo presentato.

 

Nonostante ciò la struttura base del pacemaker è rimasta finora sostanzialmente invariata, ovvero costituita da un generatore d’impulsi sottocutaneo (comunemente impiantato in una tasca sottoclaveare) connesso ad uno o più elettrocateteri che, attraverso il sistema venoso, vengono posizionati nelle camere cardiache (in genere atrio e ventricolo destro).

 

L’impianto di pacemaker tradizionale presenta quindi alcune criticità, sia in fase operatoria che nel follow-up successivo, dato che vi è necessità di un approccio chirurgico con incisione della cute e conseguente sviluppo di cicatrice. Nella fase acuta sono possibili, anche se infrequenti, complicazioni come pneumotorace, perforazione cardiaca, dislocazione dei cateteri, ematoma della tasca. Nel follow-up possono verificarsi complicanze a livello locale legate alla presenza del generatore sottocutaneo e degli elettrocateteri, come infezione locali o sistemiche con potenziale sviluppo di endocardite batterica, occlusione venosa o insufficienza tricuspidalica Ciò implica generalmente la necessità di espianto ed estrazione completa del sistema di stimolazione, procedura non priva di complicanze.

 

Con l’evolvere della tecnologia, sono stati sviluppati sistemi di stimolazione cardiaca miniaturizzati “senza fili” (“leadless pacemaker”), in cui il generatore d’impulsi e gli elettrodi sono contenuti in una singola unità totalmente intracardiaca, eliminando quindi la presenza degli elettrocateteri convenzionali e della tasca prepettorale sottocutanea.

 

Ad oggi sono disponibili per l’impianto nell’uomo due dispositivi con tali caratteristiche: il Nanostim (della St. Jude Medical) e il Micra (della Medtronic). Questi dispositivi possono essere posizionati nella cavità ventricolare destra con una procedura mini invasiva per via transcatetere con approccio transcutaneo utilizzando la vena femorale. I due dispositivi differiscono per dimensioni: il Micra è più corto ma con un diametro leggermente maggiore (25.9 x 6.7 mm) rispetto al Nanostim (42 x 5.99 mm) (Figura 1). I dispositivi differiscono anche per sistema di fissaggio alla parete del ventricolo destro: il Micra ha un sistema di fissaggio al muscolo cardiaco costituito da 4 barbe auto espansibili, mentre il Nanostim ha un sistema di fissaggio attivo costituito da una vite che deve essere inserita nello spessore del muscolo cardiaco.

La longevità della batteria è in entrambi sostanzialmente sovrapponibile a quella dei pacemaker tradizionali (7-10 anni).

 

I vantaggi di questi dispositivi miniaturizzati sono indubbiamente legati alle loro piccole dimensioni, al minimo peso, all’assenza di meccanismi di connessione tra generatore ed elettrodi, dato che questi coesistono in una singola unità, alla procedura di impianto mini-invasiva trans catetere, e al molto minore rischio di infezioni. Tra i vantaggi, vi è inoltre il positivo impatto psicologico legato all’assenza di cicatrice (non essendovi necessità di incisione chirurgica) e di tasca sottocutanea. Per il Micra è stata anche testata la compatibilità con la Risonanza Magnetica total body.

 

Il pacing cardiaco senza fili presenta però ancora alcuni limiti legati al fatto che, ad ora, sono disponibili esclusivamente dispositivi adatti alla stimolazione monocamerale (per ora solo ventricolare destra). Sono inoltre ancora necessari ulteriori dati di lungo termine per definire le performance dei meccanismi di fissaggio e la fattibilità di estrazione dei device.

 

Le attuali indicazioni riguardano pertanto, al momento, solo una relativamente ristretta categoria di pazienti con necessità di stimolazione monocamerale, come i pazienti con fibrillazione atriale permanente a lenta risposta ventricolare o in alcuni casi di blocco atrio-ventricolare parossistico.

 

La novità della tecnica d’impianto, completamente differente da quella dell’impianto dei pacemaker tradizionali, implica la necessità di training da parte del personale qualificato. Tali interventi vengono pertanto attualmente effettuati in centri specializzati come il nostro ad alto volume di procedure, ma in un futuro non troppo lontano, visti i dati incoraggianti sulla sicurezza e sull’efficacia della tecnologia potrebbero divenire di routine nella maggior parte dei centri di cardiostimolazione.

 

La miniaturizzazione dei dispositivi è quindi già una realtà che rappresenta una pietra miliare nella storia dei pacemaker, la prima vera rivoluzione dal punto di vista strutturale in circa 50 anni di pacing. Tale rivoluzione tecnologica apre le porte allo sviluppo di sistemi più sofisticati che permetterano di estendere la possibilità di impianto di pacemaker miniaturizzati, privi di elettrocateteri, mediante procedure mini-invasive, a tutti i pazienti con indicazione a stimolazione cardiaca anche bicamerale o biventricolare.

 

Dott.ssa Emanuela T. Locati

Dott.ssa Ederina Mulargia

Cardiologia 3 – Elettrofisiologia

Dip. Cardiotoracovascolare

 

 

18/04/2017