Partiamo da Niguarda. Qual è la vocazione dell’ospedale? E come si coltiva?
Curare pazienti complessi. Per farlo occorre combinare due fattori: competenza professionale e
lavoro multidisciplinare.
Ci aiuti a capire meglio: che cosa intende con competenza professionale?
Una specializzazione forte. Oggi, ad esempio, non esiste un professionista che possa sostenere
di essere in grado di fare il cardiologo “a tutto campo”: potrà avere competenza su uno spettro di
patologie più o meno ampio, ma potrà dichiararsi veramente esperto solo su un ventaglio ristretto
di esse, se non addirittura su di una sola. La medicina va verso una specializzazione crescente:
chi raggiunge la massima competenza è in grado di fare un passo in avanti, un ulteriore approfondimento.
Ed è quanto ciascuno di noi, se malato, auspica di trovare.
Come si costruisce questa competenza?
Con due elementi: il lavoro innanzitutto, apprendendo dai maestri. Ma sono necessarie anche la
formazione e la ricerca. Ai nostri professionisti chiediamo di aggiornarsi, ma non basta. Per ‘restare
bravi’ bisogna andare oltre: prima di tutto bisogna essere disponibili a impegnarsi nell’insegnare
ad altri. Insegnando, il medico impara a sistematizzare le conoscenze, a strutturare i
problemi, a restare permeabile agli stimoli. Un professionista non può sapere tutto, ma non deve
perdere la capacità di imparare e l’interesse a farlo. Noi, la struttura ospedaliera, siamo i suoi
coach. Per l’ospedale, è un meccanismo di auto- manutenzione del sapere.
Questo è il ‘prima di tutto’. E poi?
Poi è importante che il medico faccia ricerca. È una specificità di Niguarda: “dalla cura alla ricerca”
potrebbe essere il nostro motto. I nostri medici compartecipano a programmi di formazione e
di ricerca, una ricerca che nasce sotto la pressione dei problemi di cura e che proprio per questo è
differente dalla ricerca di laboratorio: è molto più rapida perché è molto più chiaro il bisogno a cui
deve rispondere. Partecipare a questo tipo di ricerca rafforza la capacità intellettuale, di distinzione
e di teorizzazione. È un circolo virtuoso: molte delle innovazioni in campo clinico prodotte da
Niguarda sono nate così, partendo dalla necessità di affrontare problemi clinici e dalla volontà di
andare oltre, sapendo di poter contare su persone con una preparazione adeguata.
A proposito di ricerca, qual è, a suo avviso, l’attenzione della politica?
Conoscenza, ricerca e innovazione sono motori di sviluppo economico e questo è diventato chiaro
anche alla politica: l’attenzione di fondo alla ricerca, almeno in questo momento, c’è. Guardiamo
all’esperienza della Lombardia e a quanto si sta facendo, e investendo, per il ‘post-Expo’: l’ex area
di Expo Milan o 2 015 è d estinata a di ventare un hub della scienza e del sapere. Decidere di farne un
centro di conoscenza, rispetto ad altre destinazioni, è un indicatore significativo dei punti cardine della politica attuale nei confronti della ricerca.
Torniamo a Niguarda: perché la multidisciplinarietà è irrinunciabile?
Perché è il complemento della specializzazione.
Solo idealmente il paziente è collegabile a una patologia definita in modo netto: in realtà, ognuno di noi vive biologicamente la malattia in modo diverso, è l’intero corpo a essere chiamato in causa, e anche la psiche; se poi vi sono co-patologie, la questione si complica ancora. Un solo specialista non può ‘leggere’ il paziente integralmente: la multidisciplinarietà è l’unico approccio che consente di fare sintesi tra le diverse esigenze relative al paziente, di definire una posizione di cura o una terapia nella sua completezza. Curare è mettere in campo ogni risorsa utile a sviluppare la capacità di fare sintesi. E anche il paziente è una di queste risorse: chi viene curato deve avere un ruolo attivo e responsabile nella cura. Curare è un lavoro di
squadra e il diretto interessato ne fa parte.
Che cosa c’è nel futuro prossimo dell’Ospedale?
Il futuro a breve di Niguarda è figlio del presente.
Proprio per salvaguardare e valorizzare la capacità di cura dell’ospedale, e continuare a essere al top
della preparazione, quest’anno abbiamo costituito un nuovo dipartimento di formazione e ricerca. La prassi che vede il soggetto curante anche soggetto ricercatore resta, ma anche in questi campi
andiamo verso la creazione di figure sempre più specializzate e strumenti dedicati. Per tradizione,
la nostra formazione si rivolge agli specialisti. L’obiettivo è realizzare una vera e propria academy
che, scegliendo fior da fiore tra i 280 interventi previsti dal piano formativo del dipartimento, rafforzi a livello nazionale e internazionale la fruizione dell’offerta formativa di Niguarda.
E nel futuro più lontano? Come sarà Niguarda tra vent’anni?
Il modo di fare medicina e sanità sta cambiando rapidamente.
Nel tempo, interventi e cure che oggi implicano la degenza diventeranno ambulatoriali; la necessità di ricoveri è destinata a contrarsi. In parallelo, migliorano l’efficacia e l’efficienza: in termini ospedalieri, a fronte di una diminuzione di posti letto aumenta il numero di pazienti curati. È un processo già in atto che non si può ignorare. Questo porterà a modificare il volto di molti dei protagonisti della sanità di oggi, anche di Niguarda.
Noi cerchiamo di attrezzarci per affrontare lo scenario futuro perseguendo la qualità, dentro
e fuori la nostra organizzazione. L’attenzione al contesto è cresciuta molto, dobbiamo “allearci”
sotto il profilo clinico con i migliori. E così, negli ultimi quattro anni, abbiamo stretto alleanze e
collaborazioni stabili con altri ospedali italiani in numerosi ambiti, coniugando sostenibilità economica e implementazione dei servizi per i malati in molte aree del Paese.
A che scenario, secondo lei, ci troveremo di fronte?
La questione del futuro è quella della continuità della cura: ogni paziente deve poter essere seguito
nel tempo e a tutto tondo: il tempo della cura in ospedale si ridurrà e il sapere medico dovrà essere
distribuito anche all’esterno, tra altri attori sul territorio, per garantire qualità e continuità dei
servizi. L’ospedale non è più, già oggi, il solo punto di cura, vi sono una miriade di altre modalità
di trattamento che sono necessarie per dare cura a assistenza in tempi prolungati, non solo in fase
acuta. La Lombardia con la recente riforma ha riconosciuto questa evidenza e credo che ciò vada
incontro alla soddisfazione del paziente e alla sostenibilità del sistema sanitario.
Ma l’ospedale resta fondamentale come luogo fisico di concentrazione del sapere, il luogo di grande
pregnanza nella cura, quello in cui il medico, confrontandosi con un numero elevato di casi, può
apprendere e specializzarsi.