Arteriopatia Obliterante Cronica Periferica (AOCP): a che punto siamo
Che cos’è l’ Arteriopatia Obliterante Cronica PerifericaPer Arteriopatia Obliterante Cronica Periferica (AOCP) s’intende la presenza di lesioni aterosclerotiche lungo l’asse arterioso del tratto aorto-iliaco e degli arti inferiori, che determinano restringimenti (stenosi) o occlusioni, con conseguente squilibrio tra apporto ematico di ossigeno e richieste metaboliche dei tessuti periferici.
Questa patologia è un marker diretto della malattia aterosclerotica e quindi assimilabile a malattia sistemica, con diretto impatto sul rischio coronarico, quale predittore di eventi cardiovascolari maggiori (infarto miocardico e ictus) e mortalità cardiovascolare.
AOCP: i fattori di rischioI fattori di rischio sono noti: l’età (dopo i 65 anni l’incremento esponenziale), il sesso maschile (nei Paesi a maggior sviluppo economico, il rapporto maschi femmine è di 2 a 1), il sovrappeso, l’ipertensione arteriosa (un aumento di 20mmHg della pressione arteriosa sistolica determina aumento del 63% del rischio di AOCP), il diabete, il fumo attivo e anche quello pregresso (il rischio si riduce considerevolmente solo dopo 10 anni da quando si è smesso di fumare), l’ipercolesterolemia LDL (con azione protettiva della componente HDL), l’ipertrigliceridemia. Negli anni più recenti è stato evidenziato anche il ruolo dell’infiammazione.
La claudicatio intermittensNella maggior parte dei casi l’AOCP sintomatica si manifesta con la cosiddetta claudicatio intermittens (dolore muscolare crampiforme che si ripete mentre si cammina), meno frequentemente con sintomi tipici di ischemia critica, condizione grave con elevato rischio di eventi cardiovascolari maggiori e di amputazione. L’ischemia critica è una condizione fortemente invalidante, che si posiziona al pari delle neoplasie sia come qualità di vita sia come mortalità.
La diffusione dell’AOCPLa prevalenza dell’AOCP è in continua crescita, favorita dal progressivo invecchiamento della popolazione, da abitudini di vita non corrette (tabagismo e sedentarietà) e da abitudini alimentari non appropriate. Inoltre va di pari passo con la prevalenza del diabete.
In termini assoluti si stima che, su un totale di circa 200 milioni d’individui affetti da arteriopatia periferica, 45 milioni andranno incontro a un evento letale coronarico/cerebrale nei dieci anni successivi. In termini socio-economici questo andamento si traduce, per i sistemi sanitari, in un enorme carico di risorse impiegate nel miglioramento della qualità di vita, nel sostegno per la perdita di produttività, nella gestione delle strategie di trattamento.
AOCP, una malattia sottostimataAnche se è molto diffusa, l’AOCP resta una malattia vascolare sottostimata e sottotrattata: spesso è asintomatica e le linee guida più recenti sottolineano l’importanza dell’approccio clinico per la sua rilevazione, con il coinvolgimento sia dei medici di medicina generale sia degli specialisti. Spesso, però, l’aspetto clinico (in primis la semplice palpazione dei polsi arteriosi) viene sostituito da una precoce diagnostica vascolare non appropriata e non supportata dal quesito clinico.
Vi è la necessità di diffondere la cultura dell’arteriopatia e di documentarla mediante la misurazione dell’ABI (indice caviglia-braccio, “Ankle-Brachial Index”) i cui valori sono inversamente proporzionali alla mortalità cardiovascolare.
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La terapia medica dell’AOCP
La terapia medica dell’AOCP spesso non viene prescritta e la compliance è comunque scarsa, per cui i target terapeutici non vengono raggiunti in circa la metà dei casi, il che comporta una mortalità per eventi cardiovascolari persistentemente aumentata.
La terapia medica ottimale (Best Medical Therapy o BMT), oltre a specifici farmaci, comprende anche la correzione dei fattori di rischio e cambiamenti terapeutici degli stili di vita.
Le statine sono indicate sia nei pazienti asintomatici sia nei sintomatici, con dati importanti in termini di miglioramento dei sintomi della claudicatio, della riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori e amputazione.
La terapia con antiaggreganti piastrinici (acido acetilsalicilico, clopidogrel) è controversa nei pazienti asintomatici, mentre viene raccomandata nei pazienti sintomatici.
La terapia con cilostazolo è anch’essa codificata dalle attuali linee guida come efficace per il trattamento della claudicatio intermittens: produce un effetto vasodilatatore, inibendo la contrattilità della muscolatura liscia della parete dei vasi.
Una novità recente, validata da trial di qualità con recepimento da parte delle linee guida, riguarda l’impiego del rivaroxaban, anticoagulante diretto utilizzato comunemente nella terapia delle trombosi venose profonde e della fibrillazione atriale, associato con specifico dosaggio all’acido acetilsalicilico: i dati evidenziano una riduzione del 28% del rischio combinato ictus/infarto/morte cardiovascolare, del 24% degli interventi di rivascolarizzazione, del 58% del rischio amputazione.
Il trattamento del paziente con AOCP sintomatica per claudicatio deve comprendere quattro elementi chiave:
- ridurre la probabilità di morbi/mortalità da eventi ischemici cardiaci e cerebrali
- incrementare la capacità di marcia con programmi di esercizio fisico sotto controllo medico
- migliorare la qualità di vita
- potenziare la sicurezza dei trattamenti proposti evitando danni da eventi avversi maggiori.
In questo gruppo di pazienti le procedure di rivascolarizzazione, mirate al miglioramento della funzione dell’arto e della qualità di vita, devono essere riservate a una porzione minoritaria di pazienti che, nonostante un adeguato programma di esercizio fisico e l’utilizzo di terapia medica ottimale, non abbiano visto incrementare la loro autonomia di marcia e la loro qualità di vita, percependo il sintomo ancora come invalidante.
Nella categoria dei pazienti affetti da ischemia critica che rappresenta lo stadio più aggressivo della malattia, con una prognosi preoccupante in relazione a mortalità, salvataggio dell’arto e qualità di vita, gli scopi del trattamento mirano a prevenire l’amputazione dell’arto, ridurre/eliminare il dolore, ottenere la guarigione delle lesioni trofiche in tempi ragionevoli.
Le tecniche utilizzate e validate da recenti trial di qualità (BASIL-2 e BEST-CLI) comprendono sia procedure mini-invasive (endovascolari) quali angioplastica/stent utilizzando materiali tradizionali metallici o innovativi a rilascio di farmaco, sia chirurgia aperta mediante interventi di endoarterectomia con ricostruzione arteriosa, utilizzando patch di allargamento o confezionamento di bypass protesico o in materiale biologico.
Il processo decisionale deve essere condiviso, deve considerare le preferenze del paziente, la qualità della vita e gli impatti sull'occupazione. I risultati combinati di questi trial sottolineano la necessità di garantire che gli specialisti vascolari sviluppino e mantengano le competenze sia nella chirurgia open sia nelle procedure endovascolari.
Una migliore spiegazione delle opzioni di trattamento e un miglior processo decisionale condiviso riducono il rischio di proporre al paziente un intervento troppo aggressivo, anche se nel contesto dell’ischemia critica, nei casi di impossibilità a procedere a rivascolarizzazione, le opzioni terapeutiche si riducono alla scelta tra un'amputazione maggiore o cure palliative: il problema è che ad oggi da un lato non ci sono evidenze scientifiche che supportino il ruolo delle cure palliative, dall’altro rimane difficile identificare quei pazienti che potrebbero beneficiare maggiormente dall'amputazione primaria.
In questa classe di pazienti l’impatto per le strutture sanitarie è maggiore, poiché richiede un approccio con caratteristiche di urgenza da parte di un team multidisciplinare (chirurgo vascolare, diabetologo, radiologo interventista, ortopedico/chirurgo plastico vulnologo, cardiologo), spesso chiamato a intervenire in ospedalizzazioni ripetute e prolungate sia in degenze specialistiche, sia in strutture di riabilitazione; fondamentale è il puntuale supporto infermieristico e assistenziale a domicilio. Ma resta ancor più significativo l’impatto sull’individuo e sui familiari per il carico di sofferenze che la patologia e i trattamenti comportano.
Verso un miglior trattamento dell’AOCP
- Implementare l’appropriatezza dell’inquadramento clinico, con diffusione della misurazione dell’ABI, considerando anche la messa a punto di metodi di misurazione più facili e veloci.
- Valutare i risultati di studi attualmente in corso sull’utilizzo di cellule mesenchimali e della loro transizione in cellule endoteliali al fine di facilitare l'angiogenesi nei casi di vascolarizzazione periferica compromessa.
- Ottimizzare la presa in carico del paziente con AOCP (sia prima sia dopo un’eventuale rivascolarizzazione) da parte non solo del medico di medicina generale e dello specialista vascolare, ma di un team multidisciplinare le cui azioni specifiche da parte delle varie figure professionali siano sostenute da precisi PDTA (protocolli diagnostico-terapeutici-assistenziali).
Questa proposta potrebbe trovare supporto e applicazione nell’ambito della riorganizzazione della medicina territoriale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) voluta come risposta alle criticità emerse con e dopo la pandemia Covid (DM 77/2022 recepito dalla Regione Lombardia con la Legge regionale n.22): gli interventi di miglioramento e rafforzamento del sistema sanitario e sociosanitario lombardo prevedono il potenziamento e la creazione di strutture e presìdi territoriali, il rafforzamento dell’assistenza domiciliare, lo sviluppo della telemedicina, una più efficace integrazione con tutti i servizi socio-sanitari.
Il potenziamento dei servizi territoriali passerà attraverso la realizzazione di nuove strutture e presìdi più vicini al cittadino e in grado di rispondere ai suoi bisogni: Case e Ospedali di comunità, Centrali operative territoriali per la presa in carico dei pazienti cronici, tra i quali una percentuale non indifferente è appunto rappresentata da quelli affetti da AOCP.
Autore:
Alfredo Lista