NOAH-AFNET 6 vs ARTESIA, facciamo chiarezza
A cura di Marco Carbonaro Cardiologia 3 Elettrofisiologia
In occasione della newsletter del mese di novembre abbiamo commentato i risultati dello studio NOAH-AFNET 6, primo studio randomizzato in doppio cieco atto a valutare la somministrazione di DOAC (Edoxaban) nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) subclinica rilevata mediante dispositivi cardiaci elettronici impiantabili (CIEDs). [1]
Questo è un campo di particolare interesse perché, nonostante dati derivanti da grandi coorti di pazienti avessero dimostrato che la presenza di FA subclinica aumenti il rischio di stroke, non esistevano evidenze in letteratura in merito alla possibile efficacia di un trattamento con anticoagulanti orali diretti (DOAC) in questo setting. [2]
Lo studio NOAH-AFNET 6 ha randomizzato 2536 pazienti con “atrial high rate episodes” (AHRE) della durata di almeno 6 minuti ad Edoxaban vs placebo (o acido acetilsalicilico nei pazienti che avevano già un‘indicazione clinica per la sua assunzione) venendo interrotto precocemente per mancanza di efficacia in presenza di un aumento statisticamente significativo dei sanguinamenti.
La pubblicazione dei dati di ARTESIA ci impone però di ritornare in argomento.
Studio ARTESIA spontaneo, multicentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco ha reclutato 4012 pazienti con fibrillazione atriale subclinica (almeno un episodio > 6 minuti e < 24h) rilevata mediante CIED e CHA2DS2-VASc score ≥ 3. I pazienti avevano un’età media di circa 76 anni, paragonabile nei due gruppi, oltre il 60% dei soggetti presentava un CHA2DS2-VASc superiore a 4, la maggior parte dei dispositivi impiantati erano PM (70%) o ICD-CRTD (25%) mentre una quota minoritaria era rappresentata da loop recorder (5%). [3]
I pazienti sono stati randomizzati ad Apixaban (5 o 2.5 mg due volte al giorno secondo gli opportuni criteri di riduzione del dosaggio) contro Aspirina ad una dose di 81 mg/die.
L’outcome primario di efficacia era rappresentato da un composito di stroke ed eventi embolici sistemici, mentre l’outcome primario di sicurezza era rappresentato dall’occorrenza di sanguinamenti maggiori. Circa il 24% dei pazienti nei due gruppi ha presentato durante il follow up un episodio di FA clinica o un AHRE > 24 ore causando l’interruzione del farmaco dello studio e il passaggio a DOAC open-label. I due gruppi hanno presentato inoltre un simile tasso di interruzione della terapia.
Per quanto riguarda gli endpoint di sicurezza, nell’analisi on-treatment il rischio di sanguinamenti maggiori era 1.71% per anno/paziente con apixaban e 0.94% per anno/paziente con ASA (hazard ratio, 1.80; 95% CI, 1.26 to 2.57; P = 0.001).
Il trial ARTESIA ha quindi dimostrato che l’uso di Apixaban in pazienti con FA subclinica riduce il rischio di ictus/embolismo sistemico, aumentando al contempo il rischio di eventi emorragici.
Le differenti conclusioni di questo trial rispetto a NOAH-AFNET 6 possono essere spiegate da un’insufficiente potenza statistica del trial con Edoxaban (solo 49 eventi embolici nei due gruppi) dovuta anche all’interruzione precoce dello stesso. Va inoltre considerato che l’endpoint di efficacia del NOAH-AFNET 6 includeva la morte per cause cardiovascolari. Dal momento che in una popolazione come quella dello studio, la morte è raramente causata dallo stroke e più frequentemente dalle sottostanti patologie cardiovascolari e dall’età avanzata, l’aggiunta della mortalità nell’endpoint primario ha probabilmente ridotto il beneficio osservabile dalla riduzione degli stroke. In ultimo ARTESIA, utilizzando ASA anziché placebo nel gruppo di controllo ha probabilmente mitigato le differenze nell’endpoint di sicurezza.
Una successiva metanalisi [4] dei due studi poi analizzato l’incidenza di stroke come endpoint primario rilevando una differenza statisticamente significativa (RR 0.68, 95% CI 0.5-0.92) nella popolazione complessiva trattata con anticoagulante orale. I dati hanno confermato l’efficacia della terapia anticoagulante anche nella riduzione dell’endpoint composito di stroke ischemico ed embolia sistemica e nell’endpoint composito di ictus per tutte le cause, embolia arteriosa periferica, infarto miocardico, embolia polmonare o morte cardiovascolare. L’analisi degli endpoint di safety nella popolazione combinata ha mostrato un incremento dei sanguinamenti maggiori (RR 1.62, 95% CI 1.05-2.5) senza differenze nei sanguinamenti fatali.
In conclusione, possiamo affermare che i risultati di NOAH-AFNET 6 e ARTESIA, e della loro successiva metanalisi mostrano risultati coerenti: l'anticoagulazione con Edoxaban o Apixaban riduce l'ictus ischemico e comporta un aumento atteso dei sanguinamenti maggiori nei pazienti con FA rilevata da dispositivo e fattori di rischio per stroke.
Ulteriori analisi dei dati degli studi potranno identificare i sottogruppi di pazienti a maggiore rischio di ictus che potrebbero trarre il massimo beneficio dall'anticoagulazione orale.
[1] Kirchhof P, Toennis T, Goette A, et al. Anticoagulation with Edoxaban in Patients with Atrial High-Rate Episodes. N Engl J Med. 2023;389(13):1167-1179. doi:10.1056/NEJMoa2303062
[2] Toennis T, Bertaglia E, Brandes A, et al. The influence of atrial high-rate episodes on stroke and cardiovascular death: an update. Europace 2023;25:euad166.
[3] Healey JS, Lopes RD, Granger CB, et al. Apixaban for Stroke Prevention in Subclinical Atrial Fibrillation. N Engl J Med. 2024;390(2):107-117. doi:10.1056/NEJMoa2310234
[4] McIntyre WF, Benz AP, Becher N, et al. Direct Oral Anticoagulants for Stroke Prevention in Patients with Device-Detected Atrial Fibrillation: A Study-Level Meta-Analysis of the NOAH-AFNET 6 and ARTESiA Trials. Circulation. Published online November 12, 2023. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.123.067512 |