Ipertensione arteriosa, nuove strategie terapeuticheGli approcci terapeutici attuali all'ipertensione, che sono basati sia sull’uso di farmaci antiipertensivi che su interventi sullo stile di vita, hanno fornito risultati notevoli nella riduzione assoluta dei valori pressori, nella regressione del danno d'organo e nel miglioramento della protezione cardiovascolare [1].
Insieme ai notevoli successi dell’approccio terapeutico antiipertensivo che ci hanno indicato le linee Guida negli ultimi anni, tuttavia, si registrano numerose aree ancora perfezionabili. Ad esempio, ottimalizzando i valori pressori del paziente iperteso ed applicando tutte le indicazioni relative anche allo stile di vita, pur tuttavia i soggetti ipertesi persistono ad avere un livello di rischio superiore a quello di soggetti pari età. In particolare la probabilità che il paziente iperteso vada incontro ad un evento cerebro o cardiovascolare e/o che si evidenzi un danno renale, rimane marcatamente e significativamente più elevata se confrontata con quella di soggetti normotesi mai trattati [1].
Questo fenomeno, definito come "rischio residuo", sembra dipendere da numerosi fattori, il più importante dei quali è probabilmente il fatto che lo stato di ipertensione arteriosa attiva nel corso degli anni alterazioni strutturali e funzionali cardiovascolari che possono essere solo in parte modificate mediante trattamento antipertensivo [1]. Un'altra possibile spiegazione si riferisce agli elementi di prova che spesso nella pratica clinica è estremamente difficile raggiungere un completo controllo della pressione arteriosa, come raccomandato dalle attuali linee guida. Poiché il rischio cardiovascolare associato con l'ipertensione è strettamente e direttamente correlate a valori di pressione arteriosa, la mancanza della loro piena normalizzazione può anche prendere parte al fenomeno [1].
Un altro fallimento dell’approccio farmacologico per l'ipertensione è rappresentato dalla constatazione che in circa il 6% al 10% dei pazienti trattati ipertesi valori della pressione sanguigna rimangono ben al di sopra degli obiettivi raccomandati nonostante l'uso di tre o più farmaci antiipertensivi a dosaggio pieno, uno di essi essendo un diuretico [2]. L'approccio terapeutico a questa condizione, che è definito come "ipertensione resistente" ed è caratterizzato da un profilo molto elevato rischio cardiovascolare, ha ricevuto negli ultimi anni con rinnovato interesse la disponibilità di due procedure, l'ablazione renale nervi e la carotide barorecettoriale stimolazione, con prospettive promettenti nel trattamento di questo stato ipertensiva [3].
Il presente lavoro, dopo un'analisi dei risultati ottenuti finora con l'utilizzo dei due approcci, fornirà un confronto "vis-a-vis" delle loro somiglianze e differenze, fornendo una panoramica critica delle loro potenzialità cliniche.
Scarica il documento completo, qui a fianco, redatto da: Cristina Giannattasio, Francesca Cesana, Paola Colombo, Fabrizio Colombo, Silvio Klugmann, Antonio Agrati, Giovanni Ferraro, Antonio Rampoldi, Francesco Soriano, Giacomo Colussi, Alberto Montoli, Stefano Nava, Matteo Baroni Cardiologia 4 - Università Milano - Bicocca, Ospedale Niguarda Ca’ Granda Milano |
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