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Il trattamento endovascolare degli aneurismi dell'aorta addominale

L'aneurisma dell'aorta addominale è una malattia che colpisce con una certa frequenza soggetti prevalentemente di sesso maschile e generalmente di età superiore ai 50 anni.

L'invecchiamento dell'arteria conseguente all'aterosclerosi provocata da diversi fattori quali il fumo, l'alimentazione scorretta, la vita sedentaria, lo stress, provoca un cedimento strutturale della parete dell'aorta, che non reggendo più la pressione del sangue al suo interno va incontro a dilatazione. Ne consegue che l'aorta, che normalmente ha la forma di un "tubo" del calibro di circa 2 cm, assume un aspetto a sacca; questa sacca normalmente tende a dilatarsi sempre più sino a scoppiare, dando luogo a una gravissima emorragia interna.

Statisticamente ciò avviene con più frequenza quando il diametro supera i 5 cm.

Se si considera che la rottura dell'aneurisma può provocare il decesso immediato del paziente in un consistente numero di casi, e che, anche se l'ammalato riesce a giungere in ospedale e a essere operato, ha una probabilità di sopravvivenza di circa il 50%, si capisce perché il chirurgo vascolare debba necessariamente intervenire prima che questo avvenga.

In centri qualificati come il nostro la percentuale di successo se l'aneurisma viene operato prima che si rompa è di circa il 98 - 99%.

Come si scopre di avere un aneurisma aortico? In genere non si avverte alcun disturbo, tuttavia il medico attento può percepire palpando l'addome un rigonfiamento che pulsa in sincronia coi battiti cardiaci. Con sempre maggior frequenza avviene che un aneurisma venga scoperto per caso durante l'esecuzione di un'ecografia o una TAC fatta per altri motivi.

Come si interviene? Attraverso un'incisione sull'addome del paziente l'aorta viene chiusa temporaneamente con pinze speciali, la sacca aneurismatica viene aperta in senso longitudinale, e al suo interno il tratto di aorta malata viene sostituito con una protesi tubolare di polipropilene. Il decorso post - operatorio dura in genere 8 - 10 giorni e il paziente viene dimesso per una convalescenza che dura all'incirca 20 - 30 giorni.
Si tratta evidentemente di un intervento molto delicato e traumatizzante, anche se necessario per salvare la vita del paziente. Ma da qualche anno è stato sviluppato un metodo alternativo a quello descritto, molto meno invasivo e cruento.

L'idea venne nel '92 a un chirurgo argentino, Parodi, che per primo riuscì ad infilare la protesi nella sacca aneurismatica passando per l'arteria femorale, isolata all'inguine con un piccolo taglio. La tecnica ha preso rapidamente piede e molte industrie produttrici hanno studiato ed elaborato diversi tipi di endoprotesi. Attualmente è molto usata una "endoprotesi" costituita da una gabbietta di metallo speciale (nitinolo) ricoperta da una camicia di dacron.

La protesi, chiusa come un ombrello, viene infilata nell'aneurisma passando da un piccolo taglio eseguito sull'arteria femorale, e quindi liberata quando è nella sede giusta sotto controllo radioscopico. La gabbietta chiusa di nitinolo al contatto col calore del sangue si autoespande dilatando la camicia di dacron che la avvolge. Si realizza così un "tubo" che si incastra all'interno dell'aorta. Se l'intervento riesce, il paziente può alzarsi e mangiare il giorno stesso ed essere dimesso dopo 2 - 3 giorni.

Questa tecnica rivoluzionaria riduce in maniera impressionante le sofferenze post- operatorie dell'ammalato. Purtroppo non tutti i pazienti sono adatti per essere trattati con quest'intervento, perché esso è fattibile solo se l'aorta ha determinate caratteristiche che vengono accertate con sofisticati esami pre-operatori. I risultati a breve termine sono incoraggianti, anche se nessuno può ancora sapere come si comporteranno queste nuove protesi sulla lunga distanza (10 - 15 anni).

Questa metodica viene eseguita anche nel nostro reparto di Chirurgia Vascolare dell'Ospedale e l'esperienza maturata, anche se su un numero non elevato di pazienti, deve ritenersi molto positiva e pertanto nel prossimo futuro verranno trattati con la nuova tecnica sempre più ammalati, consolidando la tradizione del Dipartimento De Gasperis che storicamente è sempre stato all'avanguardia nella cura delle malattie cardiovascolari.

Autore: Maurizio Puttini