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Il cuore artificiale totale

Quando iniziai il lavoro in Cardiochirurgia avevo un solo proposito: il cuore artificiale.
Era il 1987; chiesi allora appuntamento al Prof. Alessandro Pellegrini, il quale mi accolse cortesemente e pazientemente ascoltò le mie idee. Solo ora posso realizzare l’ingenuità che mostrai nell’illustrare il progetto del cuore artificiale al Prof.; si penserà tipica dello studente, ma è proprio per quell’ingenuo, strampalato disegno di macchina cardiaca che, dopo più di vent’anni, mi ritrovo a fare ancora il Cardiochirurgo, nonostante le grandi difficoltà.

L’idea di sostituire alcuni organi umani con dispositivi artificiali è vecchia come il mondo; ma è solo grazie alle scoperte e alle invenzioni degli ultimi due secoli che tale ipotesi terapeutica è diventata realtà quotidiana. Ricordo qui i milioni di Pazienti sottoposti ogni giorno a dialisi, a supporto ventilatorio non invasivo, i milioni di pazienti con il pace-maker cardiaci, o con protesi ortopediche, impianti cocleari, neuroprotesi, stimolatori vescicali e muscolari.

Il Cuore Artificiale Totale rappresenta ancora oggi una sfida tecnologica: i principali motivi sono due: erogazione energetica e controllo permanente delle variazioni corporee, della circolazione sanguinea. Mentre le dimensioni del dispositivo meccanico di pompa hanno raggiunto limiti e forma congrui per l’alloggiamento intracorporeo, rimangono aperte le problematiche inerenti:
alla cibernetica, o continuo scambio attivo di informazioni tra la macchina cardiaca artifi ciale e l’organismo nei suoi diversi apparati, cicli biologici, stati motori, e quindi continui spostamenti di baricentro, continua fi siologica ridistribuzione della massa ematica/idrica tra i vari organi e distretti;
alla pesante necessità di massa/energia (le batterie);
al modo di convogliare tale energia al rotore di pompa senza fi li elettrici estracutanei, perché tali fili sono vincolanti e vettori di infezione, in quanto perforanti la barriera della pelle e dei tessuti sottostanti.
La pompa artificiale (in realtà sono due poste in serie) in sé ha certamente raggiunto caratteristiche fisico-tecnico-informatiche in grado di auto-gestire le variazioni intrinseche; le sue due sezioni (prima pompa: sangue refluo non ossigenato dal corpo verso i polmoni; seconda pompa: sangue refluo dai polmoni ossigenato verso il corpo) possono ‘dialogare’ mediante sensori di pressione, di volume, di flusso; tale scambio di informazione è modulato da un programma semplice, o software a memoria minima, quindi basso costo energetico. Il vero problema resta l’elaborazione di tutti i dati corporei correlabili all’attività cardiaca, di pertinenza encefalica, polmonare, epatica, renale, gastroenterica, osteo-muscolare; si può ben immaginare la mole di informazioni che deve raggiungere in tempo reale il dispositivo di controllo (‘computer’); anche questo è teoricamente superabile sia per il tipo di vettore (infrarossi, per ora), e sia per gli algoritmi di programma; tuttavia, mancano ancora molti elementi esplicativi di tutti i fenomeni collegati. I parole semplici, è ipotizzabile l’utilizzo in un prossimo futuro di onde radio non ionizzanti (microTesla ‘sicuri’ biologicamente) per la trasmissione dati, un po’ come quando si utilizza il ‘bluetooth, del cellulare, con salto di frequenza a spettro distribuito, per evitare interferenze; tuttavia, la conoscenza esaustiva del funzionamento degli organi principalmente coinvolti non è ancora stata raggiunta. La scienza biomedica è ora in grado di determinare i processi basilari di ogni organo, ma non ha ancora ben chiarito tutte le connessioni biologiche tra i vari organi; e questo implica l’imprevedibilità di alcune reazioni dell’organismo e/o dei suoi singoli apparati al cuore meccanico. Inoltre il cuore meccanico più semplice, quindi più facilmente impiantabile e controllabile, eroga flusso ematico continuo, non pulsatile, e questo rimodella l’assetto strutturale e la risposta biologica dei condotti sanguinei, nonché di tutti i tessuti vitali perfusi.
Naturalmente sarebbe auspicabile la funzione pulsatile del cuore artificiale, ma i prototipi sinora utilizzati a livello intracorporeo hanno deluso le aspettative. I motivi sono molteplici, non tanto di ordine dimensionale (occupano più spazio), ma, verosimilmente, per materiali esogeni inadeguati, per diffi coltà di controllo intrinseco, per durata. Credo comunque che tali diffi coltà potranno essere superate, mediante ulteriori progressi nel campo dell’ingegneria tissutale e della fisiologia sperimentale. L’altro ostacolo per il perfezionamento del dispositivo cardiaco defi nitivo è rappresentato dalla grande quantità di energia continua necessaria alla sua attività meccanica. Come ho già in parte accennato, il cuore artificiale deve presentare ingombro adatto, peso accettabile, ma questo implica capacità di pompa (quindi di potenza) utile per tutte le situazioni di vita relazionale, di lavoro corporeo. La potenza richiesta è dell’ordine di 10-20microW/cmq; i livelli di potenza per una vita attiva, pressoché normale oscillano tra 1,3W-7W nelle 24 ore; non è molto, ma alla fine la batteria da cambiare ogni 4-8 ore diventa una ossessione; inoltre i fili elettrici penzolano fuori dal corpo, vie potenziali di infezioni, obbligando il Paziente a una vita di costrizioni demotivanti.
Sistemi di accumulazione energetica intracorporei, come le celle a combustibile biologico, le pile nucleari, sono stati esperimentati in laboratorio, ma le difficoltà di applicazione clinica appaiono ancora insormontabili (e.g. controllo dell’emissione termica e ionizzante); mentre la ricarica delle batterie è ora possibile mediante il fenomeno dell’induttanza elettromagnetica, i sistemi adottati clinicamente non hanno, tuttavia, mostrato affi dabilità continuativa (modesta durata di carica). Intuitivamente il sistema messo a punto alla Cleveland Clinic Foundation (Transcutaneous Energy Transfer System –TETS) rappresenta un passo fondamentale per il cuore artificiale totalmente impiantabile, ma occorrono accorgimenti tecnici non ancora risolvibili.

Certo siamo solo all’inizio, restano altri scogli da superare come la incompatibilità tessutale, il rischio di emorragie, di emolisi, di trombo-emboli, di ostruzione delle cannule, di complicanze per altri organi, come il rene, il fegato. Al pubblico non esperto può apparire incredibile il tempo necessario per la preparazione dei modelli di simulazione in laboratorio del sistema cardiocircolatorio (detti ‘mock loop’ o duplicatori di impulsi); così come può risultare assai complicato introdurre in questa breve esposizione elementi ineludibili, come l’inerzia, le forze d’attrito e le proprietà elastiche del sangue, dei condotti naturali e non; tuttavia, tali condizioni necessarie, esemplificano le difficoltà, ma al tempo stesso alimentano il fascino della ricerca attorno e dentro al meraviglioso ‘congegno’ che è l’essere l’umano.

Autore: Dottor Francesco Pelizzoni